Mein Kampf: quando la conoscenza vince il tabù

Mein Kampf

Umiliati e offesi. E’ trascorsa poco più di una settimana dall’uscita del Mein Kampf, e dal tripudio di polemiche annesse, a partire dal commento del nostro Presidente del Consiglio che aveva definito “squallida” l’iniziativa de Il Giornale. Una critica che non aveva nessuna ragion d’essere, nemmeno quella del tanto sbandierato rispetto per le vittime dell’olocausto. Infatti viene da sorridere se si pensa che i cori di protesta, ora scattanti e solerti, non si siano presi la briga di esibire una virtuosa disapprovazione quando venne pubblicato dalla Mondadori berlusconiana Il Libro Nero del Comunismo, con tutte le atrocità compiute dai compagni comunisti. Certe cose, si sa, alcuni preferiscono ignorarle. Ma rimaniamo al Mein Kampf. Il volume che si inserisce in una collana sull’ascesa e declino del Terzo Reich scritta da William Shirer, e con note critiche e commenti del professor Francesco Perfetti, docente di storia contemporanea. Il motivo? Divulgare un documento storico. Non un’apologia. Un testo che, secondo molti storici, troppi Capi di Stato non hanno voluto affrontare, non riuscendo quindi a capire in tempo i pericoli del nazismo. Eppure il concetto di conoscere il nemico per riuscire a sconfiggerlo è un assioma comune in ogni condotta strategica. La risposta di Renzi e di tutta l’orda di sinistra è stata di offesa indignazione, uno schiaffo alla democrazia che strizza l’occhio ai simpatizzanti di estrema destra. Una logica inoppugnabile. Eppure anche la comunità ebraica in Germania ha sottolineato l’utilità di studiare e ristudiare il manifesto del nazionalsocialismo, che illustra le teorie alla base dell’ascesa di Hitler.

Se si parte dal presupposto “conoscere è necessario – come scriveva Primo Levi- perché ciò che è accaduto può ritornare”, allora risulta quantomai urgente disfarsi di un tabù durato troppo a lungo, mettere da parte i pregiudizi e iniziare a leggere. Innescare un sillogismo virtuoso per cui leggere significa conoscere, e il conoscere implica di servirsi della cultura come arma contro un nemico che potrebbe riaffacciarsi sotto altre spoglie e con un altro nome. Un semplice libercolo fa la differenza tra chi si fa trasportare  dai flutti e chi riconosce il male, alza la testa e si oppone. Un’arma scomoda per chi se la vede puntare contro. Non si può permettere di approvare lo studio chi toglie alle scuole le ore di filosofia e storia – necessarie per lo sviluppo di un senso critico – col fine di plasmare un gregge amorfo di zombie, consapevoli quanto basta per mettere una X sul simbolo ‘giusto’ della scheda elettorale.

La risposta. Mentre Renzi incedeva imperterrito alla condanna de Il Giornale e del direttore Sallusti, seguito passo passo dalla schiera del PD che belava con acritico assenso, c’è chi non si è fatto impressionare dai vessilli dell’indignazione collettiva. Sono stati in molti, infatti, ad approfittare dell’uscita del Mein Kampf in edicola per appropriarsi dell’edizione commentata. Il Giornale ha addirittura pubblicato alcune lettere di chi ha acquistato il volume. Si tratta di persone con interesse per la Storia, una disciplina a 360° che non deve essere nascosta e temuta. In particolar modo nessuno dovrebbe decidere quali capitoli debbano essere studiati e quali no. Se c’è un pericolo nel Mein Kampf esiste solo per chi non si approccia criticamente a tutto ciò che vede, legge, sente dire. Non che Renzi ci tenga a far intendere tutto questo. Si limita a bofonchiare (anzi, non ha nemmeno parlato, ha ‘twittato’) parole vuote di partecipe dispiacere per la comunità ebraica. A questo proposito è esemplare una lettera inviata a Il Giornale di un membro della comunità ebraica di Bologna. Ha scritto: “Il Mein Kampf andrebbe illustrato e studiato nelle scuola”. E non solo: “Dovrebbe essere quello originale”, ovvero precedente alla censura fascista applicata nel ’38 per attenuare alcuni passi inconcepibili dalla coscienza umana. Di fronte ad un’affermazione del genere, non può non apparire evidente l’atteggiamento di chi ha un proprio senso critico. Non si tratta di essere ebrei o di avere altre idee politiche: si tratta di avere un pensiero autonomo, di voler esplorare ciò che non si comprende, di apprendere. Come si può essere contrari a questo?

Chiara Rizzatti.

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